Il solare termodinamico è pulito? Il caso Basilicata

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Il solare termodinamico, molto spesso affiancato con centrali termoelettriche a gas metano come previsto nella Regione Basilicata, rappresenterebbe in Italia, con molta probabilità di non sbagliare, una pura speculazione. Non risolve il problema energetico, ma devasta interi territori.

L’Italia non è l’Arabia Saudita, non presenta aree desertiche quali uniche possibili aree che consentono una razionale collocazione di tali impianti nel rispetto dell’Ambiente, del Paesaggio, del Suolo con un idoneo valore di irraggiamento solare diretto (DNI). Per la Basilicata è previsto un impianto della potenza elettrica di 50 MW con l’occupazione di oltre 226 ettari (2.260.000 metri quadri) di terreni fertili ed irrigui. L’ara di impronta dell’impianto occuperebbe ben 15 pozzi artesiani dei 19 previsti nell’area circostante.

Pensare all’Italia per acquisire competenze sul “solare termodinamico” ed esportarle nei paesi arabici, come sostiene l’ANEST, non rappresenterebbe un modo sensato di affrontare il problema energetico. Sembra invece un modo attento e preciso per fare affari a discapito di interi territori con tecnologie devastanti per un’area agricola. Impianti chiamati “solari termodinamici” pur non essendo “termodinamici puri” poiché ricorrono anche alla combustione di ingenti quantità di gas metano (con emissioni in atmosfera di inquinanti) per assicurarne un funzionamento in continuità e sicurezza.

L’aggravante, nella Regione Basilicata, è rappresentato dall’uso di decine di migliaia di metri cubi di olio diatermico ad altissimo impatto ambientale con potenziali rischi in caso di sversamenti al Suolo e non solo. L’ impianto, nella regione Basilicata, è soggetto alle Direttive Seveso per essere classificata con attività a rischio in incidente rilevante, ma ovviamente c’è chi sostiene che l’attività industriale è sicura. Peccato però che non si conoscono attività industriali immune da possibili guasti ed avarie nel processo industriale con conseguenze tutt’altro che rassicuranti.

Un impianto solare a tecnologia fotovoltaica trasforma energia solare in energia elettrica in modo pulito, mentre un impianto solare a tecnologia termodinamica che ricorre all’uso degli olii diatermici e alla combustione ausiliaria di gas metano, trasforma energia solare in energia termica e quindi in energia elettrica in modo tutt’altro che interamente pulito. Presenta infatti emissioni in atmosfera di benzene, fenolo, ossidi di azoto …. E’ pulito tutto ciò? Non mi pare.

Gli impianti interamente rinnovabili sono un’altra cosa e il modo per affrontare il problema energetico (risparmio di energia, efficienza energetica, impianti alimentati da fonte rinnovabile prevalentemente concepiti per l’autoconsumo) viaggia su un binario differente da quello delineato dagli impianti “solari termodinamici” che farebbero meglio a definirli, quando ibridi come per la regione Basilicata, con la dizione di centrali termoelettriche ibride alimentate da fonte rinnovabile solare e da fonte fossile (quindi non rinnovabile) qual è il GAS metano.

Note sull’articolo – una riflessione per tutti
La fonte di questo articolo è un commento lasciato da “Ass. Intercomunale Lucania” in risposta all’articolo provocatorio “Solare termodinamico: l’industria è pronta, e le istituzioni?“. Considerato il contenuto ad alto valore, la redazione di tecnologia-ambiente.it ha preferito dare uno spazio di visibilità più adeguato a quanto riportato dal commento.

Solare termodinamico in Basilicata
Banzi, il paesino di 1.300 abitanti in provincia di Potenza che è stato scelto per l’impianto, dovrà sacrificare, a favore degli specchi parabolici, 226 ettari di terreno agricolo. Dimensione che corrisponde a oltre 200 campi da calcio, in buona parte da espropriare a privati.

Il caso dell’impianto termodinamico in Basilicata ha scatenato numerose polemiche, ecco la premessa riportata da blog e testate:
Con una centrale in Basilicata, la Teknosolar Italia 2 punta a incassare 1,2 miliardi di aiuti pubblici in 25 anni, pagati dagli italiani con le bollette. Più di quattro volte il valore sul mercato dell’energia prodotta. La popolazione locale è in rivolta, perché l’impianto porterebbe via 226 ettari di terreno agricolo, in buona parte da espropriare ai privati. Rischio anche di incendi e inquinamento.

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