La crisi climatica soffoca la pericoltura italiana

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La crisi climatica ha cambiato completamente lo scenario mondiale, dall’economia all’agricoltura, e in questo momento tutte le forze politiche si stanno concentrando nella risoluzione della crisi. Tra le realtà coinvolte c’è l’agricoltura che ha ricevuto un brutto colpo. Il clima impazzito e gli attacchi patogeni hanno fatto crollare la produzione di pere italiane del 48%: solo 400 milioni di kg  rispetto ai 770 milioni prodotti nel 2017. Le superfici agricole continuano a diminuire, arrivando ad una perdita considerevole del 15%.

L’agricoltura italiana è in crisi: il report sulla pericoltura è agghiacciante. L’Italia  non riesce più a produrre quantità considerevoli di pere

Nel report pericoltura di Cai-Consorzi Agrari d’Italia sono stati dati tutti i dati relativi alla produzioni di pere in Italia. Questi summenzionati sono alcuni dei punti sviluppati dal report, elaborato dal Centro Studi Divulga, presentato durante la FuturPera. L’Emilia Romagna  è l’unica regione che produce massicce quantità di pere: negli ultimi anni ha subito un duro colpo sulla produzione a causa di gelate tardive e problemi fitosanitari. L’Emilia Romagna produce, da sola, il 66% di pere,  seguita da Veneto (11,5%) e Sicilia (6,7%).

Nemmeno l’aumento del consumo delle varietà più coltivate ha migliorato la situazione: Kaiser, Abate Fetel, Decana del Comizio, secondo l’analisi,  non impediscono il drastico calo di produzione che si è abbattuto sui bilanci economici di numerose aziende agricole.

Per di più, la crescita del volume delle importazioni (5,4%) impedisce all’agricoltura italiana di riprendersi. L’Argentina è il primo paese per importazioni (28%), segue Spagna (24%) e Cile (16%). Ecco alcuni dati Ansa:

Nello stesso periodo, invece, le esportazioni per il 90% in Europa calano del 39% in volume e del 30% in valore. Bene invece i consumi procapite degli italiani, che nel 2020 tornano ad aumentare del 39%, segnala ancora l’analis, che mette in evidenza come il frutto rappresenti il 7% del valore della spesa media relativa al comparto, nonostante rientri tra i prodotti maggiormente interessati dai rincari.

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