Nuova legge sui reati ambientali

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Con la nuova legge sui reati ambientali si rischia di vedere impuniti molti reati. Infatti potrebbe pagare solo chi ha violato disposizioni amministrative, e nel caso che il danno sia irreversibile e la sua riparazione sia “particolarmente onerosa” per lo Stato.

Sono preoccupati i magistrati ed esperti di diritto ambientale, e vogliono intervenire per sensibilizzare Palazzo Madama sul problema. Il nuovo “mostro normativo” se, come spesso accade, il risultato di un compromesso tra la destra sensibile alle ragioni dell’industria e la sinistra ambientalista.

Come riporta Il Fatto quotidiano, la nuova legge 1345 introduce come delitti ambientali quei reati che prima erano risolte con semplici ammende pecuniarie, tranne il traffico illecito di rifiuti (2007) e la “combustione illecita”, reati che erano già punti con il recente decreto ‘Terra dei Fuochi’ (2014),e che assegnvano da 5 a 15 anni di reclusione. Mentre ora, la presenza di svariati paletti rischia di renderne impossibile l’applicazione delle nuove sanzioni.

Il nuovo testo indica come “disastro” l’“alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema” oppure un evento il cui ripristino è “particolarmente oneroso” e possibile solo con “provvedimenti eccezionali”, anche se questo, per fortuna, non si verifica quasi mai.

Il reato di danno ambientale potrebbe verificarsi anche se è si può ripristinare con mezzi ordinari mentre l’estensione, il grado e il numero delle persone offese non si applicano laddove il disastro si consumi in zone disabitate e non per forza estese.

Un’altra novità riguarda la soglia di punibilità: infatti si considera un disastro come ‘reato di evento’ e non più di ‘pericolo concreto, come è invece il “disastro innominato” (l’art. 434 del codice penale, comma primo). In parole povere, sinora era stato possibile punire chi commetteva “fatti diretti a causare un disastro”, se c’era pericolo per la pubblica incolumità, anche senza che il disastro avvenisse. Questo è un punto importante perché spesso il disastro ambientale si consuma lentamente negli anni e non in modo immediato. Ed ecco che così si rischia di rendere inutili diversi processi, tra cui anche alcuni celebri.

Processi importanti come quello contro Radio Vaticana relativo alle emissioni dei ripetitori; l’appello appena concluso a Rovigo che ha visto condannare gli amministratori di Enel Tatò e Scaroni per le emissioni in eccesso della centrale a olio di Porto Tolle; il caso della Terra dei fuochi in Campania; e perfino il processo relativo all’Ilva di Taranto contro i Riva per l’inquinamento causato dalla fabbrica al quartiere Tamburi e alle altre zone limitrofe all’acciaieria.

Tutti processi che potrebbero chiudersi anzitempo e con l’assoluzione degli imputati. Rimarrebbe forse in piedi il cpo d’accusa per la contaminazione di oltre 2mila capi di bestiame nelle cui carni fu ritrovata diossina proveniente, secondo le perizie, del tribunale, dagli impianti dell’Ilva. In questo caso il reato è penale, perché si tratta di avvelenamento alimentare; pertanto perseguibile come omicidio, sfociando in condanne dai 15 anni all’ergastolo.

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