Il caso della Carta Pietra: salva gli alberi ma uccide il patrimonio ambientale italiano

Qualche settimana fa, abbiamo parlato della cosiddetta “Carta Pietra” e l’abbiamo descritta come una valida alternativa alla carta convenzionale per contrastare il fenomeno della deforestazione. Ebbene, grazie alle segnalazioni di alcuni utenti abbiamo capito che siamo stati anche noi vittime delle strategie mediatiche delle grosse aziende; il paradosso è che tecnologia-ambiente.it si prefissa di proteggere l’ambiente propio da queste grosse aziende e la protezione nasce con l’informazione libera, pertanto è doveroso rettificare quanto detto precedentemente. La carta Repap è costituita dall’80% di carbonato di calcio, questo è vero, ma ciò che non è indicato nell’articolo riguarda il danno che ne subisce l’ambiente.

La prima segnalazione è giunta da Rosalba Lepora che ci scrive:

Egregia redazione dissento profondamente dal proporre la carta di pietra come un prodotto ecologico che consente di non tagliare più alberi. La carta di pietra, come si legge, dalla vostra informativa è composta in maggior parte dal carbonato di calcio. E sapete la provenienza del carbonato di calcio? Si chiama . Si leggete bene Alpi Apuane, catena montuosa del Nord Toscana, ecosistema unico e irrepetibile, definito per effetto delle escavazioni selvagge “il più grosso disastro ambientale dell’Europa”. Volete salvare gli alberi? Giusto, ma non distruggete una catena montuosa e un intero territorio. L’escavazioni inquinano le falde acquifere, i torrenti delle Alpi Apuane sono piene di marmettola (per segare i blocchi di marmo ci vuole tantissima acqua: la combinazione di marmo ed acqua produce marmettola), il trasporto dei blocchi di marmo per mezzo dei camion producono inquinamento da polveri sottili nelle città di Massa e Carrara.

Dai siti produttori della carta pietra, sembra che il carbonato di calcio sia ricavato dagli scarti edili e che la produzione di carta pietra non faccia altro che dare una seconda vita a questo materiale. Vediamo insieme cosa scrive il Geologo Mauro Chessa riguardo quel fenomeno che doveva essere un sano riciclaggio che purtroppo…

…così non è stato perché alcuni imprenditori non  hanno visto nel commercio degli scarti un accessorio, da sviluppare con le tecniche ed i modi opportuni sul materiale che andrebbe perso, ma un’attività che giustifica di per se l’escavazione e l’aggressione piratesca dei ravaneti. Il detrito ha un valore assai inferiore rispetto ai blocchi, ma la nuova economia è interessante perché è meno legata alla stagionalità, richiede tecniche poco impegnative, meno personale non particolarmente specializzato ed attrezzature ordinarie. Si tratta  cioè di una attività ‘flessibile’, poco rischiosa e quindi particolarmente appetibile, soprattutto in tempi di mercati instabili e volatili. Inoltre la produzione del marmo in blocchi è diventata assai più rapida, liberando tempo, a parità di quantitativo prodotto, per altre attività: l’introduzione del diamante sintetico negli utensili da taglio (che si è affermata proprio nel periodo in cui si scopriva la redditività del carbonato di calcio) ha incrementato la capacità di taglio dai 0,23 – 0,88 mq/ora del filo elicoidale agli 8 – 12 mq/ora attuali del filo diamantato: quello che prima si faceva in un giorno oggi richiede meno di un’ora. Il caso carbonato di calcio è da inquadrare in un contesto ampio, dove giocano un ruolo la diminuzionedegli addetti nel comparto e la particolare attitudine di alcuni a perseguire la mera ricerca del profitto, tanto da portare il sindaco di Carrara a dichiarare che il Comune «deve tornare a essere proprietario delle cave e darle solo a chi le lavora nel rispetto della legalità»

Si ringrazia anche Andrea Benvenuti e Eros Tetti per, come si suol dire, averci aperto gli occhi e si dedica questo articolo proprio al gruppo di  Facebook SALVIAMO LE APUANE.

Image Credits | alpiapuane.com

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