Le arance con le quali Coca Cola produce la famosa bevanda Fanta vengono raccolte in Calabria da centinaia di immigrati irregolari sottopagati. La Coca-Cola, colta sul fatto a comprare in Calabria succo d’arancia a 7 (sette) centesimi al litro (con i quali si producono varie decine di litri di Fanta), prodotto da lavoratori in condizioni di semischiavitù.
Tutto è partito  da un’inchiesta della rivista britannica The Ecologist riguardante il coinvolgimento della Coca Cola nello sfruttamento della manodopera africana in Calabria. Secondo The Ecologist la multinazionale americana acquisterebbe a costi ridottissimi succo d’arancia concentrato dalle aziende calabresi. E questo sarebbe il motivo per cui gli agrumicoltori sarebbero costretti a sottopagare gli immigrati (25 euro per una giornata lavorativa di 14/15 ore).
Ma la Coca Cola  nega un suo coinvolgimento nella vicenda e per non danneggiare la propria immagine decide di disdire gli ordini con le aziende calabresi mettendo ko l’economia di quella zona.
Sicuramente, la coca cola sta sfruttando una realtà ma, è difficile credere che ne sia l’artefice, anche se indiretto. Caso mai sta sfruttando le leggi italiane sull’immigrazione.
Leggi che, invece di regolarizzare l’immigrato, lo rende clandestino, qualora perde il posto di lavoro, pur avendo il permesso di soggiorno, permettendo, così, il suo sfruttamento perché costretto a lavorare in nero.
Allora questa inchiesta dell’Ecologist ha un grandissimo merito perché ci da l’occasione per riprendere una riflessione a 360° che guarda alla centralità della ricomposizione della forza lavoro e della lotta antirazzista come nuovo orizzonte per le vertenze a venire. Per cercare di sperimentare ed individuare insieme nuove pratiche e alternative di uscita dalla crisi e dal lavoro gravemente sfruttato e schiavistico, che è lo scenario in cui siamo tutti e tutte immersi.